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Costituzione

Licenziamenti: la consulta dichiara incostituzionale la modifica dell’art. 18 della “Fornero”

Articolo di Valerio Macagnone, Segretario di ESC

La Corte Costituzionale è intervenuta con una recente pronuncia a dichiarare l’illegittimità della previsione normativa contenuta nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come riformata dalla Legge Fornero (n. 90/2012). In particolare, la consulta ha rilevato l’incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, della parte della norma in cui si prevede una differente disciplina in materia di reintegra nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e le differenti fattispecie di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo.

Infatti, la censura evidenziata dalla Corte riguarda la previsione della facoltà di reintegra nel caso di licenziamento economico nella misura in cui il fatto posto alla base del licenziamento sia manifestamente insussistente, distinguendola dalla previsione di obbligatorietà di reintegrazione nei casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Tale differenza di disciplina determina, ad avviso della Corte, una chiara violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 in virtù della irragionevole disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa, rimettendo alla discrezionalità dell’organo giudicante la scelta tra l’indennità e la reintegra senza alcun criterio direttivo.

Una pronuncia che si inserisce nel contesto degli orientamenti giurisprudenziali che avevano rilevato profili critici delle riforme del mercato del lavoro e delle tutele nel caso di licenziamento degli ultimi anni, tra cui è bene ricordare la sentenza n. 194 del 2018 con la quale la consulta aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 1 del D. Lgs n. 23/2015 (Jobs Act) censurando la rigidità e la inadeguatezza del meccanismo di calcolo dell’indennità contro i licenziamenti ingiustificati che non realizzava né “un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro”, né un efficace strumento deterrente per i licenziamenti ingiusti da parte datoriale.

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Riders: sentenza storica a Palermo

Articolo scritto da Valerio Macagnone, segretario ESC (2020-2021)

L’universo della “gig economy”, ovvero dell’economia dei lavoretti, ci offre un’adeguata rappresentazione della situazione in cui versa il mercato del lavoro italiano, sempre più caratterizzato da sacche di lavoro precario e sottopagato, e sempre più invischiato in una spirale deflazionistica al quale non corrisponde un’adeguata offerta politica in grado di costruire un’articolazione programmatica a tutela dei lavoratori, e a cui i sindacati, salvo rare eccezioni, non sanno reagire con i mezzi di difesa più opportuni.

Un esempio eclatante di “gig economy” su cui si sono sollevati interessanti contrasti giurisprudenziali in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, è quello dei riders, ovvero dei fattorini che mediante mezzi di locomozione, come biciclette e motorini, si occupano di svolgere l’attività di consegna a domicilio dei prodotti offerti dagli esercizi commerciali attraverso un sistema che suddivide l’attività lavorativa in tre fasi (ritiro, tragitto e consegna), ognuna delle quali è procedimentalizzata seguendo dei comportamenti determinati dall’azienda food delivery.

Tale sistema prevede l’uso di parametri di valutazione dell’attività lavorativa del rider basato sugli algoritmi della piattaforma digitale utilizzata dalla società datoriale. In particolare, è previsto che i riders siano valutati sulla base di un “punteggio di eccellenza” che incide sulle scelte delle fasce orarie (“slot”) da parte del lavoratore il quale potrà avere accesso prioritariamente alle sessioni lavorative degli orari migliori in ragione di un maggiore punteggio. Ai fini della determinazione del punteggio l’efficienza incide nella misura del 35%, l’attività in ”alta domanda” nella misura del 35%, il feedback dell’utente nella misura del 15%, l’esperienza nella misura del 10% e infine il feedback dei partner nella misura del 5%. Chiaramente ci sono anche i parametri che concernono la valutazione negativa come nel caso di riscontro al ribasso degli ordini in “alta domanda” o di giudizio negativo da parte dei consumatori.

Inoltre i riders vengono assunti con contratti di lavoro autonomo, sono soggetti a basso reddito e le loro prestazioni di lavoro seguono dei meccanismi ripetitivi che li porta a incrementare la quantità delle loro prestazioni per ottenere un miglior giudizio di produttività ed accedere a fasce di orario migliori. Un meccanismo assillante di competizione al ribasso che ricorda molto quanto ci diceva Gaber in uno dei suoi brani:

“Questo ingranaggio così assurdo e complicato/ così perfetto e

travolgente/ quest’ingranaggio fatto di ruote misteriose/ così spietato e massacrante/quest’ingranaggio come un mostro sempre in moto/

che macina le cose che macina la gente”.

Dopo la recente presa di posizione da parte della Suprema Corte Tedesca che ha esteso la disciplina del lavoro subordinato ai riders della multinazionale “Foodora”, la giurisprudenza italiana ha segnato un passo in avanti nel percorso interpretativo riguardante il rapporto di lavoro tra le aziende di food delivery e i fattorini: il Tribunale di Palermo in una recente pronuncia (sezione lavorosentenza 20 novembre 2020n3570),dove il lavoratore ricorrente, in sede di impugnazione del licenziamento chiedeva una diversa qualificazione del rapporto di lavoro, ha statuito che in relazione alle concrete modalità di prestazione dell’attività lavorativa, emerge chiaramente che il lavoro svolto dal rider è da considerarsi fittiziamente autonomo, dal momento che l’organizzazione e la gestione produttiva è unicamente effettuata dalla parte datoriale nell’interesse esclusivo dell’azienda: risulta decisivo, alla luce di quanto esposto dal giudice di primo grado, il fatto che, è proprio la piattaforma, sulla scorta dell’algoritmo, a determinare le assegnazioni delle consegne in modo del tutto indipendente dalla volontà del lavoratore, e sulla base della geolocalizzazione del rider che, per poter essere selezionato, dovrà trovarsi nei pressi dei luoghi di ritiro della merce. Inoltre, in base a suddetto orientamento giurisprudenziale, poiché il punteggio può subire delle riduzioni nelle ipotesi di rifiuto di turni lavorativi, l’eventuale riduzione può essere annoverata come una sanzione atipica che sottoporrebbe il rider al potere latamente disciplinare del datore di lavoro. Alla luce di ciò e sulla scorta del carattere continuativo del rapporto di lavoro e dell’intento punitivo col quale la società ha disposto disattivazione dell’account in seguito alle rivendicazioni sindacali da parte del lavoratore riguardanti precedenti blocchi dell’account e la mancata fornitura dei DPI (dispositivi di protezione individuale), il giudice, ha riconosciuto la presenza del vincolo di subordinazione ai sensi dell’art. 2094 c.c., e ha stabilito l’inefficacia del licenziamento essendo del tutto assimilabile a un licenziamento orale, condannando la società alla reintegrazione del rider e al pagamento delle differenze retributive.

Una pronuncia che permetta al lavoratore di tornare al lavoro a tempo pieno e indeterminato e con il riconoscimento della retribuzione prevista per la mansione di ciclofattorino di cui al VI livello del CCLN Terziario.

Una sentenza, dunque, che può essere un apripista interessante per un settore segnato dalla precarietà esistenziale, ma che ci offre la cifra di come la digitalizzazione del lavoro possa avere effetti alienanti per i lavoratori e per una società che ha bisogno di un urgente recupero del principio lavorista della nostra Costituzione.