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Filosofia politica

Le figure del tempo in ‘C’era una volta in America’

Analisi filosofico-politica a cura di Jacopo D’Alessio, socio ESC

(dedicato a Nada)

  1. L’inizio “ in medias res” dove si incontrano la linea del tempo ciclica e quella diacronica

La struttura temporale di Once upon a time in America (C’era una volta in America) si divide in due linee principali, l’una ciclica e l’altra diacronica. La prima, ciclica, comincia durante gli anni ’30 con l’effetto straniante di un flash-forward, introdotto da alcuni squilli di telefono che, se da una parte, servono a destare, dal torpore, il lungo sonno di uno dei suoi protagonisti, dall’altra, sembrano voler richiamare contemporaneamente l’attenzione
dello spettatore sullo snodo cruciale del film. Non a caso, l’intreccio si apre in medias res, con il decennio posto al centro degli altri due periodi narrati dalla vicenda, e rappresenta la parentesi della giovinezza; gli anni ’20, precedenti, raccontano invece l’infanzia e l’adolescenza dei personaggi; mentre gli anni ’60, posteriori, la loro maturità. Dunque, in questa scena iniziale, cogliamo un Noodle piuttosto malconcio, intento a fumare dell’oppio al teatro cinese per rinsavire dallo shoc subito a causa della morte degli amici più cari, ma che teme anche per la sua stessa vita.
Un attimo dopo, tuttavia, il giovane gangster sarà in grado di uscire di soppiatto dal locale, sfuggendo così dai sicari assoldati dal suo non più complice Maximilian (detto Max) che, verremo a sapere più tardi, vorrebbe ucciderlo e tagliarlo definitivamente fuori dal giro degli affari. Quindi, per mezzo di un flash-back, simmetrico all’operazione precedente, l’intreccio si conclude con la medesima scena, tornata al centro del film, accompagnata
però stavolta anche da quell’inaspettato sorriso che all’inizio invece mancava. L’espressione ilare e tranquilla, che spunta improvvisamente sul viso di Noodle, dà come la sensazione di essere decontestualizza rispetto alla circostanza particolarmente drammatica vissuta nel suo passato, segnando uno dei momenti più alti ma anche più misteriosi di Hollywood.
L’altra linea del tempo, invece, che ricaviamo dalla costruzione della fabula, segue il passaggio cronologico dagli anni’20 ai ’30, e infine ai ’60: cioè, i momenti essenziali che raccontano la biografia dei tre personaggi protagonisti nella loro successione temporale (Genette: 2006) (1). Così, se il percorso circolare della vicenda, che parte dal flash-forward, e si conclude con il flash-back, racconta, non solo l’inizio e la conclusione del film, ma anche il recinto invalicabile nel quale è circoscritta l’esistenza di Noodle (Robert De Niro); la progressione degli eventi descrive più che altro quella dei suoi compagni-antagonisti, Max Bercovics (James Wood) e Deborah Gelly (Elizabeth McGovern). E ora ci accingiamo a spiegarne il perché e a cosa ci serve saperlo.

2. I protagonisti e le due corrispettive figure del tempo

a – Il tempo mitico di Noodle

Il soprannome, Noodle, sembra alludere ad un tipo di spaghetti, una pasta
abbastanza povera e piuttosto comune tra le popolazioni del Medio Oriente, che rimanda al carattere semplice ma genuino di David Aaronson. Si tratta di un ragazzo scaltro che, mentre lotta per sopravvivere nella miseria e alla violenza sulle strade, riesce comunque a dimostrare una straordinaria lealtà nei confronti dei suoi soci, provenienti come lui dallo
stesso ghetto ebraico newyorkese. Se la vita di Max e Deborah scorre e muta di continuo, Noodle, al contrario, ne rimane al di fuori in ben due circostanze che separano le fasi storiche del racconto.

La prima volta, quando rimane isolato molti anni in carcere per aver vendicato la morte del giovanissimo Dominic, rimasto ucciso da una banda rivale, gelosa del lucroso bottino ottenuto dal contrabbando di alcolici. È questa la prima ellissi (Genette: 2006) (2) che separa gli anni ’20 dai ’30, ovvero il passaggio dall’infanzia alla giovinezza. La seconda volta, quando, dopo essere stato tradito, si nasconde per trent’anni nella città di Buffalo con il proposito di non lasciare alcuna traccia dietro di sé. È questa la seconda ellissi, decisamente più lunga, che segna il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Negli anni ’60, quando David, ormai anziano, fa ritorno a New York, in occasione dell’invito al party del misterioso senatore Baily, passa la notte alla pensione di Moe Gelly, il fratello di
Deborah, che gli domanda interdetto:

Che cosa hai fatto durante tutti questi anni?

Moe, come vorrebbero saperlo gli spettatori del film, chiede al vecchio amico, riapparso all’improvviso, in che modo abbia trascorso la sua vita dopo essere sparito definitivamente dal ghetto.

Sono andato a letto presto”,

risponde Noodle, con una citazione di Proust (2017) (3), che vuol dire press’a poco: “Ho smesso di esistere”. Da quando la mia professione di gangster si è bruscamente interrotta, mi sono tramutato in una persona qualunque, seppellita come tutti gli altri dal banale ripetersi delle ore e da un tedio quotidiano estraneo a rapine, omicidi, e colpi di scena. Con buona probabilità, si tratta di un’allusione alla tecnica iterativa che, attraverso
l’uso frequente dell’imperfetto, scandisce la narrazione regolare e ciclica della Recherche (Alla ricerca del tempo perduto). D’altronde, anche nel romanzo proustiano emergono dei personaggi avvolti da un tempo monotono e indefinito che, come accade durante gli anni di anonimato di Noodle, nega anche a loro la possibilità di distinguere e ritrovare un episodio davvero significativo della propria esperienza. Infatti, a differenza degli altri coprotagonisti, noi non sappiamo davvero nulla di ciò che è accaduto a Noodle durante questo periodo. Come già detto, i fatti significativi della sua vita si fermano tra gli anni ’20 e i ’30, disegnando un tempo circolare, mitico, dal quale non sarà più in grado di uscire.


b – Il tempo progressivo di Max

Rispetto alle aspettative iniziali, Max mostra di essere un personaggio assai
ambizioso, con uno sguardo lungimirante, per nulla folle come vorrebbe far credere agli altri. Al contrario, egli è perfettamente lucido su come la fine del Proibizionismo porterà presto anche alla conclusione del contrabbando di alcolici che caratterizzava il mal affare della vecchia New York. Sulla base di tale premessa, sta escogitando da tempo il modo di
abbandonare i perdenti della storia, di cui è membro, per fare il suo ingresso trionfale nel crimine organizzato dell’alta società. Di contro, Noodle è un uomo romantico di autentica estrazione popolare, che respinge la chimera di soluzioni seducenti ma ciniche, e pertanto
preferisce rimanere umile, recalcitrante ad ogni tipo di mutamento del proprio codice d’onore. Anche lui intuisce senz’altro come il commercio della droga sia l’investimento del futuro, ciò che potrebbe procurargli un’immensa fortuna. Tuttavia sa anche che condurrà gli amici stessi a mettersi l’uno contro l’altro.

Perciò, mentre da lontano, la modernità sembra brillare di una luce ammaliante, di fatto rivela di portare con sé la dissoluzione della comunità in cui ha sempre riposto la propria fede. È da questo canto delle sirene che un giorno il giovane cercherà inutilmente di mettere in guardia Max, un attimo prima di saltare dal pontile con l’auto in mare. Per tale ragione, lo vedremo contrapporsi puntualmente ai suoi progetti temerari nello sforzo
nostalgico di fissare l’innocenza del passato in una condizione permanente. Come sappiamo però Max, viceversa, diviene una delle pedine principali dello spirito del tempo, che nel suo moto inesorabile e progressivo cercherà di spazzarlo via insieme all’intero mondo che ha dato i natali a entrambi.

3. ‘Crisi della presenza’ dei protagonisti tra tempo mitico e tempo progressivo

Dunque, mentre Noodle sprofonda sempre più nella figura del tempo presente, che va a scapito di quella futura, Max e Deborah si dissolvono nella figura del tempo futuro che si staglia a dispetto di quella presente. Eppure, potremmo spiegarci anche con altri termini (De Martino: 2021) (4). Se recuperiamo il modello concettuale di De Martino, Noodle
assume il comportamento di chi prova ad allontanare la minaccia di un trauma sistemico, proveniente dall’esterno, mediante un rituale mitico che, per salvaguardare l’esistenza, o esser-ci nel mondo con al centro i suoi valori, assorbe ogni cambiamento entro di sé, e rimuove per questo il divenire della storia, congelandola. In modo inverso, Max e Deborah scelgono di entrare come attori protagonisti nella storia ma, cancellando ogni volta la presenza di sé stessi con i loro valori, finiscono per esserne travolti senza sosta, adattandosi sempre e solo al suo superficiale involucro esterno. In entrambi i casi, si assiste al cocente paradosso esposto da De Martino, per cui il tentativo di confermare la propria identità conduce ad una crisi della presenza: ovvero, al suo opposto non-esser-ci, risolto, come vedremo, per mezzo di forme simili, arbitrarie ed individualiste.

Allora, è lecito chiedersi se possa esistere anche una terza figura del tempo in grado di fornirci una soluzione alternativa? Sembra di no. Nel senso che, di primo acchito, una prospettiva del genere, che sia ben articolata come le altre, pare non manifestarsi all’interno del film.

L’addio al Proibizionismo viene celebrato con una grande festa allestita nel locale di Moe, durante la quale Max mette in scena la propria morte, che avviene lo stesso giorno in cui terminerà anche il periodo della giovinezza con le sue illusioni. L’ex socio d’affari, infatti, ormai divenuto un traditore, ha fatto aggiungere una salma carbonizzata (che non era la sua) nell’auto trivellata dai proiettili di mitra, dove sono rimasti uccisi veramente gli
altri due complici. Verremo a sapere inoltre che, per continuare a mimetizzarsi agli occhi di tutti, cambierà la sua identità in quella di Bailey. Durante gli anni ’60, Max poi è riuscito a farsi eleggere senatore in virtù della grande ricchezza accumulata con i traffici illegali di droga, ma soprattutto grazie ad un investimento iniziale, proveniente dal milione di dollari che ha rubato trent’anni prima a Noodle e ai suoi vecchi compagni, dopo averli fatti eliminare. Il furto di quel denaro nel passato rappresenta, possiamo dire, il peccato originale che lo ha convertito per sempre in un assassino privo di scrupoli e in un uomo di potere. Da quel momento in poi non ha avuto più alcun interesse a creare relazioni umane che fossero a lui vicine e, anzi, si è posto completamente al di fuori anche dalla rete
solidale che gli garantiva la comunità ebraica delle origini.

Ora, giunto all’apice del successo, è però il senatore Bailey ad essere spacciato. Le indagini della polizia sui suoi illeciti rischiano infatti di portare allo scoperto molti altri personaggi illustri dell’abbiente società newyorkese, anch’essi coinvolti nel traffico di stupefacenti, così che, prima o poi, lo vorranno fare fuori per impedirgli di parlare. Perciò, non essendogli rimasto nessun alleato fedele al quale rivolgersi, Max ha invitato Noodle alla propria festa per chiedergli il favore, stavolta, di ucciderlo davvero. Nonostante però l’ex compare venga finalmente a conoscenza della verità sull’inganno che gli è stato teso trent’anni prima, rimarrà del tutto indifferente all’opportunità di vendicarsi, e se ne andrà via nella stessa maniera in cui è ritornato: quasi non fosse mai giunto lì, proprio perché
quell’epoca non gli appartiene. Come afferma De Martino, se il personaggio che ha rifiutato la storia ne è stato escluso del tutto, colui che l’ha seguita senza indugi ha annientato la presenza di sé medesimo esattamente allo stesso modo.

4. La scena dello stupro come allegoria dell’incompatibilità tra tempo interiore del personaggio e spirito del tempo di un’epoca

Per come è andata finora, potremmo anche sostenere che il regista simpatizzi di più per l’ideologia conservatrice di Noodle, ma vedremo che tale ipotesi può essere accolta solo in parte. A quanto pare, durante gli anni ’30, David avrebbe violentato Deborah, perché, in fin dei conti, rappresenta un tipico anti-eroe novecentesco che non è riuscito a
comprendere i desideri della donna, così come a trovare una valida alternativa alla propria impasse. Dal canto suo, Deborah, non solo non si è mai voluta legare sentimentalmente a Noodle, ma neppure a Max. Sebbene, invero, abbia avuto da quest’ultimo un figlio, è sfuggita senza remora da vincoli coniugali che le avrebbero impedito, a sua volta, di
scalare la carriera cinematografica. Lo stupro costituisce allora l’impresa disperata di Noodle di colmare, per mezzo della forza, la voragine che divide due forme di vita incommensurabili fra loro, ciò che dà luogo inevitabilmente ad un esito grottesco e di impossibile ricomposizione.

Alla stregua del romanzo moderno, l’episodio, a mio avviso, è un’allegoria che racconta la frattura radicale tra il tempo interiore, del protagonista, e lo spirito del tempo oggettivo, incarnato nel personaggio di Deborah, che anticipa l’epoca consumistica successiva. Ovvero, Noodle, che si trova incagliato ancora nei valori desueti degli anni ’30, manca difatti i suoi appuntamenti più importanti con la Storia: sia nel caso di Max, per il
suo disinteresse riguardo il crimine organizzato; sia, nel caso di Deborah, di cui rifiuta il ruolo femminile autonomo e di successo, al di fuori della famiglia tradizionale. Pertanto, sarà l’amico-rivale ad ottenere, al suo posto, gli affetti e il riconoscimento sociale, mentre l’inetto, incapace di comprendere entrambi, non farà altro che esacerbare il proprio senso
di impotenza, perdendo infine il controllo.

5. L’inconscio politico del film: due configurazioni storico-ideologiche speculari

Non appena, quindi, ci troviamo a trascendere le figure del tempo dei singoli personaggi, l’inconscio politico (Jameson: 1990) (5) del film si dipana, appunto, anche secondo due linee storico-ideologiche più vaste. Per un verso, la prospettiva moderna e progressista solca perfettamente la parabola della grande borghesia (Max-Deborah), come emerge dopo la Rivoluzione Francese, la quale farà propria una visione del mondo scandita dal movimento meccanicistico, slanciato continuamente in avanti e privo di limiti, ereditato dalla sinistra liberale; mentre, per un altro, racconta la prospettiva conservatrice, regressiva, della piccola borghesia (Noodle), che il tempo invece l’ha sempre voluto fermare, in quell’eterno presente, raccolto invece dalla destra storica. Nonostante che Max e Deborah siano stati a rincorrere per tutta la vita il tempo, alla fine tuttavia hanno fallito
perché era come se in realtà non si fossero mai spostati. D’altra parte, Noodle, che ne è sempre rimasto escluso, cerca in questo episodio di possederlo invano. Di conseguenza, tutti e tre i protagonisti, diversi ma uguali, restano sempre oggetti, piuttosto che diventare soggetti, di storia.

6. Il tempo imprevisto del sorriso epifanico e lo straniamento brechtiano

Ebbene, l’unica finestra che permette di scorgere un Altrove ideologico, ancora inesplorato, si apre con il momento epifanico di quel sorriso improvviso, comparso dal nulla, durante la famosa scena conclusiva quando, ancora stordito per via dei narcotici, Noodle si sdoppia, acquisendo la coscienza di essere in realtà un semplice personaggio di
carta. È come se i suoi occhi, bucando lo schermo, guardassero direttamente lo spettatore attraverso la telecamera e ci apparisse adesso un uomo diverso, con un’espressione che ormai dimostra di aver capito in cosa consista il suo ruolo nell’ambito di una storia ideata, appunto, per essere scritta.

Siamo tornati di nuovo agli anni ’30, cioè a quel lasso di tempo che, si è accennato più sopra, occupa la sezione centrale del film. Qui, come all’inizio, un effetto straniante di tipo brechtiano, introdotto stavolta dall’uso simmetrico del flash-back, allontana il punto di vista dello spettatore fuori la catena di causa-effetto degli eventi narrati. Se da una parte, infatti, quest’ultimo ci insinua un senso di profondo spaesamento (Perché Noodle sorride mentre stanno cercando di ucciderlo?); dall’altra, ci permette di osservare quei fatti con distacco, e perciò alla stregua di un gioco (Forse, Noodle ha capito di essere stato ingannato e pertanto sorride con ironia nei confronti della vita?). Le domande però non riescono a trovare risposte immediatamente certe mentre, al loro posto, si fa spazio sempre di più il dubbio lacerante, cui segue un’inevitabile ambiguità di senso che sospende il nostro giudizio.

D’altronde, è impossibile che la consapevolezza di essere diventato la vittima di una congiura, ordita dall’amico, sia stata già fatta propria dal giovane nella scena in cui si droga con l’oppio. Al contrario, Noodle è ancora convinto che Max sia morto bruciato nella sua vettura, insieme agli altri due complici, uccisi dai loro rivali. Lo dimostra il fatto ad esempio che il giorno dopo, un attimo prima di lasciare New York, si recherà alla stazione dei treni, persuaso di trovare inizialmente ancora la valigetta con il milione di dollari nell’armadietto, dove l’aveva nascosta per anni con gli altri componenti della banda.

Inoltre, durante gli anni ’60, non appena fa ritorno al ghetto ebraico per prendere parte alla festa del senatore Baley, si trova ospite nel locale di Moe il quale, essendo rimasto in apparenza l’unico sopravvissuto tra i suoi vecchi compagni, viene accusato ingiustamente da Noodle di essere stato proprio lui a tradirlo.

7. L’epilogo come raccordo tra tempo della storia e tempo del racconto

Allora, il sorriso tranquillo, sopraggiunto incoerente ed enigmatico, innanzi alla situazione tragica che sta attraversando il protagonista in quel momento, potrebbe alludere più probabilmente ad una presa di coscienza sulla precarietà dell’esistenza nel suo insieme, sulla mancanza di verità assolute, piuttosto che fare riferimento ad una circostanza particolare della vicenda. Ed è per questo motivo che, se poniamo di nuovo la nostra attenzione sull’intreccio, ci rendiamo conto come tale gesto debba comparire necessariamente al termine del film. Perché è come se, davvero, lo trovassimo solo in fondo, quando cioè guardiamo per la seconda volta questa scena. Mentre prima, all’inizio, non c’era stato.

In altre parole, la smorfia non appartiene al tempo cronologico di una biografia come è veramente accaduta, che emerge sulla base di una preziosa esperienza acquisita con l’ingresso del giovane nella maturità. Ma alla fase centrale della sua vita, dove infine vengono a sovrapporsi, in modo circolare, tempo della storia del personaggio, già trascorso (TS), e tempo narrante che si sta realizzando ancora nel presente, mediante l’epilogo (TR). Il sorriso scaturirebbe così dall’invenzione del racconto che, mentre torna indietro, finalmente si interrompe e modifica il passato narrato del protagonista, aprendosi al recupero di un evento nuovo e significativo, altrimenti perduto (6). Dunque, non quando è anziano, in coincidenza con la sezione finale della fabula, ma nello snodo cruciale dell’intreccio, che è simultaneamente principio e conclusione di se stesso, Noodle scopre di essere l’attore di una trama altrui e ne prende atto.

Se un personaggio comprende il proprio destino nel passato, e riesce perfino a sovvertire quest’ultimo, evadendolo, può venire meno in un istante anche tutto il resto della sua parvenza realistica, che si infrange a causa di una manipolazione esterna. Attraverso il flash-back degli anni ’30, l’autore difatti irrompe trasversalmente nelle due linee temporali, ciclica e diacronica, ormai tracciate dal film, e le mischia fra loro per smontare
l’illusione scenica con i suoi ingranaggi fittizi, mostrandosi mera pellicola, recitazione. A questo proposito, risulta evidente anche l’accostamento tra il ruolo di Deborah nei panni di un’attrice, la cui unica preoccupazione consiste nel perseguire la fama a scapito della propria umanità, con la forma cinematografica in quanto tale, genere di cartapesta per
eccellenza, conosciuta e utilizzata dallo stesso Leone.

8. Terza figura del tempo: il futuro anteriore

Insomma, il sorriso di Noodle, cosciente di rimanere al di sopra delle parti e complice di una commedia, è un’espressione del viso che non risponde più ad una logica interna, concepita dall’incalzare degli avvenimenti, ma viene calato dall’alto per mezzo di una chiara operazione registica (Szondi: 2015) (7). E tale effetto si è voluto trovare perché “la sospensione del giudizio” serve a noi per smascherare il soverchiante status quo che
circonda il protagonista, senza rinviare tuttavia a nessuna soluzione di sorta. Come si è visto, le prospettive politiche proposte dallo spirito dell’epoca si sono rivelate vuote e mendaci, nella misura in cui si sono avverate in modo fallimentare. Pertanto, quel gesto finale, pur comparendo nel passato, è allo stesso tempo un inizio che si pone al di fuori della ripetizione dell’identico, come auspicabile accesso ad un ignoto futuro, diversamente ideologico.

Giunti fin qui, siamo ora in grado di rispondere anche alla nostra domanda iniziale. Ovvero, si può sostenere che in C’era una volta in America si manifesti il segnale di una terza figura del tempo che corrisponde ad un futuro anteriore. Quest’ultimo emerge, sì, autonomo rispetto alle altre due linee temporali presenti nel film ma, al contrario delle precedenti, non è pervenuto ad una sua esistenza concreta e perciò appare sfuggente. Si
tratta, anzi, di una figura che non è stata mai filmata, né scritta ma, proprio per questa ragione, si affaccia ancora come alternativa a dispetto di una realtà già avvenuta e al contempo fallace. Il regista, semmai, attraverso l’ambivalenza di quel sorriso, che riempie la nostra mente di dubbi, affida al pubblico il compito di immaginare il suo possibile fine.

Note

(1) L’intreccio è la narrazione della vicenda come viene esposta nel romanzo, o nel film, di cui è testimone il lettore-spettatore. Pertanto, come avviene in questo caso, può presentarsi attraverso continui rimandi, sia
avanti (prolessi o flash-forward), che indietro (analessi o flash-back). A discrezione della regia, può presentarsi più lineare, oppure, perfino circolare e, quindi, partire e concludersi nello stesso punto. Comunque sia,
l’intreccio si realizza in forme molteplici e, soprattutto nel film d’avanguardia, appare spesso piuttosto disordinato. Viceversa, la fabula è la ricostruzione a-posteriori che può ricavare lo spettatore quando smonta
gli eventi, così come erano stati presentati dall’intreccio, per ricollocarli successivamente nel loro presunto ordine lineare e cronologico: cioè, come sarebbero apparsi se fossero stati narrati in un modo più rispondente alla realtà dei fatti, in Genette, G., Figure III – Discorso del racconto, Torino: 2006; Einaudi Editore.

(2) L’ellissi è un balzo temporale in avanti della narrazione che consiste nell’omissione di alcune informazioni durante il periodo di tempo sottaciuto. In altre parole, quando il tempo del racconto (TR) degli avvenimenti si interrompe, viceversa, il tempo storico (TS) delle ore, dei giorni, e degli anni, prosegue nel frattempo il suo corso naturale anche se non è stato fatto oggetto di alcuna narrazione, in Genette, G., Ibid. Nella fattispecie, durante il carcere e la permanenza a Buffalo, il tempo del racconto si è arrestato del tutto (TR = 0) perché non si parla di ciò che è successo a Noodle nei periodi omessi, mentre il tempo reale della storia è andato avanti di circa un decennio (TS = 10), nel primo caso, e di circa trent’anni nel secondo (TS = 30).

(3) “Per molto tempo, sono andato a letto presto la sera. A volte, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che nemmeno avevo il tempo di dire a me stesso: ‘M’addormento’. E mezz’ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi ridestava”, corsivo mio, in Proust, M., Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto, Torino: 2017; Einaudi Editore.

(4) De Martino, E., La fine del mondo – Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino: 2021; Einaudi Editore.

(5) L’espressione qui usata proviene dall’opera omonima di Frederich Jameson, L’inconscio politico. Si vuole intendere in questo modo che il film sia un prodotto culturale realizzato ovviamente dal regista, Sergio
Leone, il quale però, a sua volta, sarebbe calato nella cornice più grande della storia. Per cui quest’ultima, anche secondo chi scrive, sarebbe stata in grado di influenzarlo, indirettamente, sul piano inconscio appunto, nonostante la mediazione soggettiva e particolare dello scrittore. In breve, le intenzioni di Leone non sarebbero state, molto probabilmente, quelle di imprimere una precisa direzione politica (questa direzione politica) al suo film. Ciò emergerebbe, al contrario, da un’interpretazione a posteriori compiuta dal critico, quando prova a scovare il significato recondito depositato nel singolo manufatto artistico, che sfugge in una certa misura al controllo diretto e consapevole dello stesso regista, rispetto alle dominanti culturali e in conflitto di un’epoca, in Jameson, F., Storicizzare sempre!, tratto da L’inconscio politico, Milano: 1990; Garzanti.

(6) A mio avviso, anche nella conclusione troviamo una forte somiglianza con il racconto proustiano. Difatti, la Recherche si chiude con la sovrapposizione tra il punto di vista dell’Io narrato del personaggio-scrittore anziano, posto ormai alla fine della vicenda, che racconta la propria storia a ritroso, e quello dell’Io narrante, che appartiene invece al protagonista da giovane, quando si trova a testimoniare i fatti nel presente, proprio mentre accadono. Dunque, in C’era una volta in America si dà luogo ad un paradosso temporale piuttosto simile. Se mediante il flash-back, il tempo della storia (TS) è tornato indietro fino al periodo degli anni ’30, che coincide con l’inizio della trama, in un’apparente ripetizione senza fine, il tempo del racconto (TR), al contrario, dà un taglio a tale ciclicità, prima di tutto, interrompendo il film. Ma introduce inoltre un evento nuovo (il sorriso) nel futuro dell’intreccio (la scena finale) che si trova collocato tuttavia, in modo paradossale, nella storia già vissuta da Noodle (negli anni ’30). La tesi di questo lavoro, appunto, è che, come accade in Proust, il sorriso, precedentemente omesso, in quanto perduto nel passato, venga recuperato come un evento significativo dell’esperienza nel presente dell’intreccio, ovvero nell’epilogo. Oppure, che è la stessa cosa, viene suscitato soltanto in seguito, quale artificio irreale che termina il racconto (TR). In entrambi i casi, va da sé che sia possibile narrarlo esclusivamente alla fine.

(7) La tragedia classica, composta secondo il principio di immedesimazione, si va progressivamente deteriorando nel corso dello sviluppo del dramma moderno. Ad interrompere l’illusione scenica sarà compito del montaggio e del punto di vista autoriali che, muovendo dall’esterno, fanno breccia tra gli eventi interni della trama, per svelare così gli artifici stessi della narrazione. Di qui, si assisterà alle varie forme di
sdoppiamento dei personaggi che si scoprono attori delle storie di carta loro assegnate dai rispettivi scrittori. (Su questo argomento, vedi ad esempio, come opera più rappresentativa dell’avanguardia italiana primo
novecentesca, Sei personaggi in cerca d’autore, di Luigi Pirandello). La forma matura di tale estetica, cominciata dall’Espressionismo tedesco, durante gli anni ’20 del secolo scorso, diviene compiuta e si teorizza con l’avvento del teatro epico di Bertold Brecht, in Szondi, P., Teoria del dramma moderno, Torino: 2015; Einaudi Editore.