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Geopolitica

Pescherecci italiani aggrediti dai libici: il silenzio italiano si traduce in “Mare Vostrum”

articolo di Giuseppe Matranga, socio fondatore ESC

Appena sei giorni fa (06.05.2021) l’ennesimo triste evento che coinvolge le autorità libiche e i pescherecci siciliani di Mazzara del Vallo: resta ferito il comandante Giuseppe Giacalone, a seguito di alcuni colpi di fucile sparati da una motovedetta libica, appartenente all’autorità di Tripoli (ovvero non quella di Haftar, che si era già resa protagonista del sequestro di altrettanti pescatori alcuni mesi fa, bensì quello di Al-Sarraj, in teoria l’unico riconosciuto dal governo italiano).

In questo breve articolo, vogliamo mettere in luce diversi aspetti che hanno, a tratti, del tragi-comico, primo su tutti però, riteniamo doveroso denunciare il totale quanto assordante silenzio che ha coinvolto indiscriminatamente tutte le testate informative nazionali, in merito al fatto, nonché la totale inespressione delle nostre autorità nazionali, tra i quali regna sovrana la figura del gigante della politica estera Luigi Di Maio, colui che, appena pochi mesi fa, aveva simpaticamente confuso la Libia con il Libano.

Facendo riferimento all’intervista intercorsa tra il comandante Giuseppe Giacalone e l’AGI (Agenzia Giornalistica Italiana), vengono fuori diverse informazioni da non sottovalutare e che dovrebbero forse far indignare ogni cittadino italiano, da Lampedusa a Bolzano.
Innanzitutto, il comandante protagonista della faccenda è il padre di uno dei pescatori mazzaresi, che erano stati indebitamente detenuti per circa tre mesi dalle autorità del governo parallelo libico capeggiate dal Generale Haftar (uno di quelli che prima era con Geddafi e poi si trasformò in rivoluzionario al momento della sua caduta), il quale “reo di vivere di pesca” si era recato presso le acque internazionali interposte tra la Sicilia e la costa Libica, mare pescoso nel quale in teoria non vi è alcuna giurisdizione nazionale, tranne nel caso in questione. Infatti, ormai da alcuni anni, la Libia, unica al mondo, ha deciso e sancito autonomamente che le sue acque territoriali arrivino a 40 miglia nautiche dalla costa e non alle classiche e globalmente riconosciute 12 miglia, così che ogni qual volta un qualsiasi natante travalichi l’ideale confine, questo diviene oggetto di contesa da parte delle motovedette libiche (le quali in gran parte sono state donate gentilmente dallo Stato italiano e riportano ancora sbiadita sul fianco la scritta “Guardia Costiera”).

In questo caso al superamento delle 40 miglia, probabilmente allertati da preziosissimi radar (che identificano prontamente i pescherecci italiani ma mai i barconi dei migranti che spesso divengono bare del mare), sopraggiunge una motovedetta libica che intima al comandante mazarese di seguirla fino alla costa. Il comandante, conscio dell’esperienza del figlio sequestrato, si rifiuta di ottemperare all’ordine indebitamente impartito e inverte la rotta in direzione di Mazzara del Vallo. Durante quei concitati minuti vengono addirittura esplosi dei colpi di fucile da parte dei guardacoste, che colpiscono la cabina di pilotaggio col solo comandante Giacalone all’interno che, da “buon padre di famiglia”, aveva ordinato al resto dell’equipaggio di recarsi sotto coperta per proteggerne l’incolumità.

Tali colpi d’arma da fuoco oltre a crivellare le pareti della cabina, infrangono uno dei vetri e procurano diverse ferite alla testa del comandante, il quale in pochi istanti, mostrando la maglia sporca di sangue, si rivolge agli offensori chiedendo di cessare il fuoco. Essi rispondono rivelandosi dispiaciuti di aver cagionato danno alla persona e per soccorrerlo gli propongono di seguirli in porto in modo da poterlo portare in ospedale.

Se non sembrasse già così una barzelletta, sappiate che l’intero dialogo si è svolto in lingua italiana, poiché uno dei componenti dell’equipaggio libico era stato prontamente e gratuitamente addestrato a Messina, e sotto gli occhi della Marina Italiana che era presente a poca distanza con una motovedetta e un elicottero del tutto inermi e passivi.

Detto ciò, il comandante risponde con un classico “rifiuto l’offerta e vado avanti”, supponendo che quello potesse essere l’ennesimo tranello per l’ennesimo sequestro, e continua a dirigersi in direzione della Sicilia.

Fortunatamente le ferite riportate non erano gravi. Ma al suo rientro in porto egli non trova né un’ambulanza a soccorrerlo né uno straccio di autorità portuale ad aspettarlo.

Che dire! Che il governo italiano avesse perso il suo smalto in merito alle politiche internazionali era già abbastanza palese. Che però facesse del tutto finta di nulla, girandosi dall’altra parte, innanzi ad un’aggressione militare ai danni dei propri cittadini lavoratori, è tutta un’altra storia.

Restiamo comunque in attesa di un qualche vagito da parte del Ministero degli Affari Esteri in merito alla faccenda, aspettando che un altro po’ d’acqua passi sotto i ponti e che prima o poi qualcuno, degno di questo ruolo, possa risedersi su quello scranno e riportare una sorta di equilibrio nel Mediterraneo che ci circonda da tempo immemore e che un tempo era stato una risorsa per tutta la penisola italica.