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Geopolitica

Il caso dei 18 pescatori italiani prigionieri in Libia

Articolo scritto il 27 novembre 2020, da Vincenzo Randazzo e Andrea Casabona, soci fondatori ESC

88. È il numero dei giorni dal quale sono detenuti in Libia i diciotto pescatori italiani che, giorno 1 settembre 2020, sono stati fermati in acque libiche dalla Marina del generale Haftar durante una battuta di pesca. Stando alla versione del governo di Bengasi, i pescatori italiani sarebbero sconfinati in acque libiche. Va ricordate che la Libia ha rivendicato in passato una zona di pesca di 62 miglia, a differenza dell’Italia, che non ha dichiarato una vera e propria zona di pesca ma con una legge del 2006 ha previsto l’istituzione di zone di protezione ecologica. Tale spartizione fu confermata da un accordo fra il governo italiano ed il governo libico nel 2008 ma non venne mai ufficializzata da accordi comunitari. Il nodo principale resta quindi la pesca, a parte la delimitazione della piattaforma continentale, compreso il punto dove si incontrano le piattaforme di Italia, Libia e Malta, che la Corte internazionale di giustizia, nella sentenza del 1985, ha lasciato indeterminato. Tornando al sequestro del peschereccio, a parte le vacue rassicurazioni del governo alle famiglie dei prigionieri, le istituzioni italiane hanno dimostrato il loro totale immobilismo e la loro irrilevanza geopolitica. Le ragioni di tale stasi sono ascrivibili alla perdita del ruolo chiave che l’Italia aveva svolto in Libia sino al 2011, anno in cui con un vile golpe USA e Francia destituirono e uccisero il colonnello Gheddafi. Da quel momento in poi, i governi italiani che si sono avvicendati nel corso di questi anni (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte) hanno seguito la via di una sterile alleanza con l’anello debole della catena, Fayez Al-Serraj, capo del governo riconosciuto di Tobruk. Nel frattempo, dunque, si è lasciato che Francia e Turchia divenissero protagoniste sulla scena libica dopo aver stretto una alleanza con chi esercita maggior controllo nel paese nordafricano, ovvero il generale Khalifa Haftar, che presiede il governo non riconosciuto di Bengasi. Allo stato attuale, dunque, risulta assai complesso per le autorità italiane agire per la liberazione dei propri cittadini in mancanza di accordi chiari e strategici con quest’ultimo. Nel corso della storia repubblicana, la diplomazia italiana si è resa protagonista di successi geopolitici all’interno dell’area nordafricana (nonostante il nostro paese fosse stretto nelle morse del patto atlantico). Questa classe dirigente ha mortificato anche quei pochi ma importanti risultati e ad oggi si dimostra totalmente incapace di tutelare diciotto cittadini, la cui unica colpa era quella di svolgere il proprio lavoro. Nell’ambito del recupero della nostra sovranità nazionale, riteniamo come ESC, che sia necessario prendere a modello le azioni di statisti quali Mattei, Moro e Craxi, superando l’irrilevanza cui ci ha condannato l’UE anche in materia di politica estera. Vale la pena ricordare in conclusione che grazie alla strategia geopolitica di Enrico Mattei nel 1957 furono installate le piattaforme energetiche dell’ENI in Libia e venne battuta sul tempo la concorrenza angloamericana. L’Italia, inoltre, concluse un importantissimo accordo commerciale in ambito petrolifero con l’URRS sotto la sua presidenza dell’ENI. Insomma questa strategia ad ampio raggio mirava ad una indipendenza energetica che, dapprima fu sabotata dalla NATO, e poi definitivamente accantonata dall’avvento dell’Unione Europea.
Ora l’insostenibile leggerezza geopolitica dell’Italia costa la libertà a 18 concittadini: a loro e alle loro famiglia va la nostra solidarietà, auspicando che la diplomazia italiana possa attivarsi efficacemente, garantendo un loro immediato rientro a casa.

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